Come avrò ormai sfinito gli utenti, a me non mi era piaciuto “La solitudine dei numeri primi” perché oltre a raccontare le sofferenze dei protagonisti in un contesto di menefreghismo troppo irrealistico (pure i “Brutti, sporchi e cattivi” di Scola si sarebbero accorti dell’anoressia di lei e dell’autolesionismo di lui), i personaggi, anche se avevano delle caratteristiche discrete, diventavano a lungo degli stereotipi e il ritmo, nonostante abbia letto dei libri con un ritmo più lento, era veramente pesante fino a un certo punto, non per l’angoscia, ma per la noia soporifera che mi coglieva nei momenti di calma della vita dei personaggi (il trasferimento di lui e la relazione di lei con l’altro). Anche se non sono arrivata in fondo, il romanzo non mi ha trasmesso niente e mi domando ancora come cavolo abbia vinto il Premio Strega. A me sinceramente piacciono molto di più i film e i libri che hanno anche una presenza pessimista, amara e un po’ angosciante perché in fondo nella vita esistono e devono esistere anche questi dubbi e l’incertezza di cosa succederà domani o tra una vita (ad esempio “Amici Miei”, divertente, spassoso ma anche molto triste e amaro). Spero che in questo nuovo romanzo abbia cercato di approfondire i personaggi e cercato di mantenere le profondità senza smarrirle nel nulla come è successo nel precedente, che non metta a cuocere nel fuoco troppe domande e troppi dubbi perché non è stato in grado di farlo e al massimo le ha risolte alla “Carlona” nell’opera prima. Insomma che voli basso e che non pretenda di essere il nuovo Pirandello o Calvino…
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